ST...AAAGNO

10.10.2018

ST...AAAGNO

"St...aaa gno. " Balbetto'. "Sttt ...aaa...gno..."Balbetto' una seconda volta.

Come si chiamava? Il...il...insomma, il...poco importa bambini! Raccoglietevi intorno allo stagno e cerchiamo di tirarlo fuori. Almeno sappiamo dove era finito.

Tiratolo su, lo asciugarono e gli diedero uno degli abiti del Magone. Ce ne sarebbero stati due e forse forse anche due e mezzo. Poi si asciugo' gli occhialini dalla montatura sottile e, imbarazzato, comincio' a rimettere insieme i pezzi della sua storia. Non ci aveva capito tanto bene nemmeno lui, sapete.

Chi era lo sapeva?

"Insomma..."

Un piccoletto gli aggiusto' il cappellone che si era infilato storto. Non servi' una magia. Era poco piu' alto del nostro. Una bambina col caschetto castano, nel frattempo, gli aveva recuperato la bacchetta e gliela porse delicatamente. Quale bimba? Occhè l'abbozzate di saltellare sulla corda del tempo?

Gli diedero il tempo di raccogliersi le idee ancora arruffate, o scarruffate come dicono in certi lidi del mondo reale.

Si sedette su un muretto, le mani a sorreggersi il mento pensoso. Una pallina di carta lo colpi' al naso. Si alzo' di botto e comincio' a raccontare. Fra i frizzi e lazzi della marmocchiata.

Si schiari' la vocetta di mamma chioccia.

Il grande giorno stava per arrivare. La premiazione al Mago dell'Anno XXXX insignitagli per la terza, no, forse quarta volta consecutiva dal Comitato Maghi Streghe Fattucchiere e Quantaltro tenuto conto dei suoi numerosi e innegabili successi nel mondo della magia. Cosa seria, cari miei, cosa seria. Penso' una mamma che ogni giorno ne risolveva una, rintuzzata dal padre che le ricordava di come, invece,quella volta LUI fosse stato risolutivo. Su questioni da sfarfallii. Rospi, rancchi, leoncelli ed altri svariegti principi Che, sul resto, la bacchetta la condividevano, porgendo pero' lei il primo orecchio di ascolto per condividerlo poi col consorte.

Era chiaro no? Non ci poteva mica andare addobbato cosi'. Gli serviva...

Ma quale Fata Smemorina! Ma con che zucca viaggiano questi?

Gli serviva un consono abito con tanto di mantello per le occasioni speciali e cosi' aveva chiamato, con quel coso, bimbi, il come si chiama, il telefono, una normalissima sartoria. Normalissima, si', ma altamente specializzata, che glielo avrebbe fatto su misura.

Detto fatto. Era pronto. Lo voleva provare? Una me..ra...vi...glia una MERAVIGLIA davvero.

Ma cosi', visto al chiuso, non dava conto dell'effetto della luce del sole. Poteva uscire e pavoneggiarsi un po' per il giardino?

Immantinentemente!

E fu cosi' che mentre girellava di qua e di là sempre piu' preso dal senso della propria eleganza, noto' nello stagno una strana barchetta verde carica di...carica di...si mise gli occhiali.

Ragnetti rossi? O che mai ci facevano? Tutti insieme su una foglia. Poverini, anche un po' impauriti. Dovere dovere dovere. Il dovere lo chiamava. Devo correre a prendere il mio librone devo capire che ci fanno sulla foglia. Il cervello gli fece cilecca e, seguendoli con l'occhio, inciampo' su un bel tronco piazzato li', sembrava, a bella posta.

Finito il suo racconto, si volto' salutandoli e ringraziandoli con un braccio alzato a metà, gomito piegato, e si giro' per riprendere il suo cammino, quando, per un soffio, non ricadde quasi nello stagno dallo scanto. Uno specchio si era magicamente parato davanti a lui?

Ah no...era la Strega Nocciola.

LUPACCHIOTTA ROSSA E IL SARTO DE QUALITA'  stralcio biografico

C'era una volta, e questa volta per davvero, non Cappuccetto Rosso, che l'hanno gia' inventata nè Pippi Calzelunghe, anche se il personaggio le portava rosse, lunghe e di fastidiosissima lana. Certo non le piu' comode per sfuggire al... beh brutto era brutto davvero anche se lupacchiotto ai tempi. Piccolo, tondo e scuro e con quella faccia li'.

Ad esser sinceri quando lo trovo' accucciato su quel muretto era piu' bellino. Come cambino certi bei lupacchiotti biondi. Ma cerchiamo di andare con ordine.

Penserete, se la mangio' in un sol boccone. E invece no. Che anzi fu ad un passo dall'esser divorato lui stesso.

Quel lupacchiotto aveva altri piani in mente. Piani sì, e piuttosto altolocati. Era un lupacchiotto globe trotter e mica se la voleva portare a giro cosi'. No. Il nostro lupacchiotto voleva trasformare quella lupacchiotta da lupacchiotta de borgata a lupacchiotta dei Parioli. De borgata nei modi, che era di buona borghesia.

Il lupacchiotto voleva volare alto. E già aveva cominciato a tirarsele zampettandole intono sussiegoso, tenendole bene in vista coda e schiena col muso bello alto e pieno, strapieno, di scoperto orgoglio (aveva preso qualche ginepraio nei primi anni di vita anzi pare proprio che ci fosse nato).

Voleva volare alto. Altissimo. Insieme a lei. Costruirle una supertana piena di tutte le cose che una lupacchiotta pensava potesse desiderare. A lei bastava lui. E la voleva, avrebbe detto, trasformare, che lei orgogliosa non lo comprese, nella lupacchiotta piu' bella che vedeva sui cartelloni sparsi qua e la'. Con la zampa puntava ora destra ora a sinistra mentre trotterellavano insieme nel gruppo in fila di due.

Così la vedeva lui, che lei non si sentiva. Pensava solo a correre libera e felice col suo lupacchiotto senza doversi preoccupare di zampicure e di sporcarsi il pelo rifatto mo mo. No. Gli piaceva proprio per quello. Era di quel genere come diceva la pubblicità: il vero lupacchiotto non deve chiedere mai. E faceva di testaccio suo. Gli voleva bene anche per questo, fra un tentativo di trattenuta e l'altra, per evitargli di cadere in fallo.

Dicevamo, le voleva, intanto, rifare il pelo fra le orecchie e la pelliccia all'ultimo grido, forte delle conoscenze di sartoria apprese in famiglia e un po' di mestiere di parrucchiere imparata alla scuola professionale per lupacchiotti. Uve accademiche troppo alte. Le scolastiche pure.

Nu ciucciariello pareva essere anche se lo era meno di quanto pensasse. Era la fatica di applicare le orecchie allo studio, che ascoltare ascoltava fino ad un certo punto. Quando lo ascoltava lei invaghita.

"56 + 33?"

"Eeeeeeeh?"

Frana in matematica al quadrato quando le domamde gliele faceva il lupacchiotto guardandola dritta negli occhi. Occhi che poi si divertiva a casa ad imitare. Incroci di pali. Oppure si divertiva a provare a scribacchiare con la zampetta sinistra.

"La capitale del...è?"

E lei lo guardava fissa.

Furono giornate di lunghi inseguimenti. Cacce disperate e senza frutto, dato che la lupacchiotta, avendo fatto basket a scuola, gli schizzava via come una quaglia. La leprotta Giubbolotta, le canticchiavano spesso a casa quando era piu' piccoletta. Armato di riviste alla moda che gli rimpinzavano la testa.

Gli era proprio furba, cari i miei figlioli, e un c'era verso. La guardava intrucinato determinato ognigiorno sempre di piu' dal lato opposto del cortile studiando percorsi e stratagemmi. Prima uno, poi due, poi tre, poi quattro, poi cinque, poi sei, poi sette, poi otto lupacchiotti le mise alle calcagna rosse studiandosi moduli per portarla a sè e sperando che qualche malandrino del branco da lui allenato allungasse una zampa di troppo per poter intervenire a salvare la sua povera lupacchiotta indifesa. Indifesa, pensava lui.

E poi, mica era scema. Oltre ad essere piu' sottile di vita di ora e meno zavorrata se la cavava gia' di suo piuttosto benino nello scartare e arretrare sulle chiusure. Tutto tenendo d'occhio le istruzioni che il nostro lupachiotto dava ai suoi e come sempre fregandolo, scusateci il termine ma questa è una favola vera, fregandolo con finte di direzione. Un soffio prima che si chiudessero i cancelletti intrecciati a labirinto studiati a lapis. Di giorno ronfava ad occhi aperti in classe. Qualche fila piu' indietro della sua passata. Mal di testa svelati.

Non che non volesse farsi acchiappare ma come tutte le brave lupacchiotte di troppo giovane età, gli aspiranti divoratori vanno tenuti bene sulla corda.

E la storia lì per lì fini' sul pari. Uno scanto per uno. Il primo glielo diede lei quella mattina che finalmente aveva quelle fauci chiuse, il chiacchierone, e se la dormicchiava bello tranquillo. Fece per dargli un bacino fra le orecchie ma salto' su come un pupazzetto a molla e comincio' a mulinare. Cosa che il suo orgoglio ferito le fece interpretare malamente.

Fu così che quella volta che il nostro sarto di qualità in versione parrucchiere per signore lupacchiotte le si avvicino', senza aver concordato il look, con grande delicatezza con un paio di forbici e le afferro' una ciocca della coda...lei punta nell'orgoglio lo mando' in porta a quel paese.

Si narra che da quel giorno giro' il mondo con quel vezzo di afferrarsi e aggiustarsi la sua, di lei in realtà, ciocca data anche la sua urtante abitudine di fargli da scimmietta specchio. Per spirito di affettuosa presa di giro come le freddure con cui la omaggiava di complimenti a modo suo.